il corpo delle donne / sinergie

nell'ambito dell'esperienza corale FEMM[E]

Usare il corpo come mezzo espressivo, fa dell’arte un fondamento della comunicazione, uno specchio e un esercizio dei cambiamenti in atto. Il corpo è l'agente fisico delle strutture dell'esperienza quotidiana, il trasmettitore e il ricevitore dei messaggi culturali, e, parafrasando una nota citazione di Nelly Richard, il luogo per eccellenza per trasgredire i vincoli del significato che il discorso sociale prescrive come normale 2.

 

Seppure nel corso dei secoli il corpo della donna sia stato descritto secondo molteplici e spesso antinomiche, accezioni: da simbolo di purezza verginale, idealizzata quasi a toccare il limite dell’a-sessuale, ad emblema della seduzione, del male e fonte di perdizione per l'uomo -tradotto nella triade: peccato, sessualità e morte-, ha continuato a rappresentare un fulcro d’interesse nella società, nell'arte e nella cultura di ogni tempo. «Tutto ciò che è desiderato o disprezzato viene sempre affidato al corpo femminile; la donna, più che l’uomo, porta i segni della cultura da cui proviene», ha dichiarato l'artista keniana Wangechi Mutu.

 

È  a partire dagli anni Sessanta del Novecento che travalicando i confini tra i generi artistici e di convenzione, le artiste della Body e della Performance art irrompono sulla scena internazionale attraverso il loro stesso corpo, rivendicando un ruolo di primo piano non soltanto per le donne, ma per l'arte stessa nella società. Gran parte della consapevolezza, della idea di soggettività e potenza del corpo femminile, si diffondono in modo strutturato grazie al movimento femminista e alla sua determinazione a smantellare lo status quo. La donna non più “oggetto di proprietà altrui”, si dichiara “individualità distinta”, esercitando il diritto all'autodeterminazione e a decidere anche della propria sessualità.

Prendono il via le prime ricerche artistiche legate al corpo, le cui esponenti femminili si fanno interpreti attraverso l’azione, ovvero, quella strettissima relazione che viene a costituirsi tra il corpo e il suo “utilizzo”: la donna fa di se stessa un mezzo espressivo autonomo. Ecco allora che per la artista-performer degli esordi, ogni cosa, sia pure 'privata', diviene materiale di repertorio «la propria vita, le prove della propria esistenza. Tutto e tutto può essere messo in servizio: qualsiasi azione da qualsiasi momento di qualsiasi giorno, fotografie di sé o radiografie, o grafici di testi mediali, la propria voce, ricostruzioni del passato o la presentazione teatrale dei propri sogni, l'inventario degli eventi della storia familiare, ginnastica, mimo e acrobazia, colpi e ferite 3».

 

Tra le artiste di spicco di quegli anni, Yoko Ono e Marina Abramovic, Gina Pane e Ana Mendieta, Valie Export e Orlan. Seguite dalle generazioni successive che ne hanno raccolto l’eredità storica e concettuale, declinando l’utilizzo artistico del loro corpo in ambiti geografici e contesti sociali anche molto differenti, come la francese Sophie Calle, l’iraniana Shirin Neshat o la guatemalteca Regina José Galindo, spesso spinte dalla volontà di mostrare con toni di denuncia, la condizione della donna nel mondo contemporaneo.

La presenza stessa di queste artiste ha segnato il corso dello scenario artistico-culturale. È anche per merito a loro, infatti, se l’arte è tornata ad assumere un ruolo sociale, riflettendo le trasformazioni in fieri e stimolando il pubblico ad assumere una posizione critica e partecipata all'interno del controverso dibattito attuale. «Come donna e come artista, non posso che essere grata a tutte quelle che nel movimento femminista hanno rivendicato, su più piani di lettura, i nostri ruoli e i nostri diritti - scrive  Mona Lisa Tina - anche se “l’arte delle donne” – nel senso di arte creata da donne – non è la stessa cosa di arte femminile o femminista. Gli approcci artistici e le possibilità espressive dell’arte delle donne, come sappiamo, sono tanto numerosi quanto le artiste 4».

 

Superato il retaggio femminista, nel mondo contemporaneo occidentale, che si illude di aver raggiunto la parità dei diritti e delle opportunità nell'arte, il testimone della protesta sembrerebbe oggi passato «a quelle donne che vivono condizioni di disagio non solo in quanto tali, ma anche perché parte di un popolo globalmente emarginato 5». Culture oscurantiste dove il corpo delle donne è ancora luogo e simbolo di quel conflitto che verte sull'esigenza, maschile e patriarcale, di controllare e perfino annientare – simbolicamente ma anche fisicamente – la specificità femminile 6.   

D’altra parte, basta guardare la cronaca del femminicidio, statisticamente in aumento; oppure, tornando in campo artistico, consultare i cataloghi dei musei di arte contemporanea, dove prevalgono nettamente i nomi degli autori piuttosto che delle autrici, per rendersi conto che è ancora lungo il cammino da percorrere per una reale parità. La questione femminile è tuttora terreno fertile di analisi e riflessioni, nella consapevolezza che non si esaurisce nella sfera artistica ma che riguarda in modo molto più esteso la storia sociale.  

                                                                                         

Tralasciando le norme di genere e gli stereotipi che ovviamente rischiano di evidenziare le differenze invece di annullarle, rimane comunque aperto il quesito se l’arte è davvero in grado di cambiare qualcosa, sia che un’opera nasca da un uomo sia che nasca da una donna.

 

IL CORPO DELLE DONNE

nell'ambito di una esperienza corale

Lori Adragna

25 giugno 2018